La Grande Festa della Diversità
Stay Fetish, Love different! diceva il provocatorio slogan di quel povero diavolo di Schicchi. Uno che ne ha fatti di conti con la cultura ufficiale e che potrebbe servire come esempio per chi vive la medesima condizione di asfissiante schiavitù morale, o meglio, moralista.
Il Gay Pride di Napoli è stato un grande evento: di colori, di allegria, di libertà. Ma è stata anche una manifestazione caustica per i benpensanti, logico che trascini dietro di sé scorie e chiacchiere, le stesse di sempre tra l’altro. Non che il non parlare aiuti a risolvere i problemi, è solo che una cosa che ambisce alla “normalità” dovrebbe anche sapersi insinuare (in senso positivo, non nel senso più viscido e losco) in tale normalità: il clamore in simili situazioni si arricchisce di risentimento e così alla fine i compiti da assolvere si moltiplicano e i risultati si allontanano. Va beh, piccolo preambolo per una manifestazione degna d’interesse e, magari poco a poco, sempre più abituale. Torniamo al titolo.
Non facciamone una questione di sentimenti, facciamone una questione di status: quello di cui parliamo oggi è il diverso. Così senza virgolette e corsivi. Uguale al carattere precedente e a quello successivo. DIVERSO.
Diverso, ossia vario, multiforme, numeroso. E mettici pure nuovo. Cioè diverso da quello che vedo sempre. Mica malevolo? Mica nocivo? Mica dannoso?
I bambini si divertono sempre con lo stesso sonaglio? Certo che no: si divertiranno di nuovo, e quindi di più, con varie e diverse api che gli volano in testa nella notte. Per esempio.
Come la nuova auto del manager che proprio non ne vuole sapere più nulla di quella vecchia: ce l’ha avanti agli occhi da sempre e ora non ne può più. E ne acquista una nuova, diversa, appunto.
Il mondo cambia non per moda ma perché il cambiamento è il piccolo-grande concetto alla base dell’evoluzione: esperienza, acquisizione, superamento del vecchio col nuovo.
Ed il nuovo è capace di dialogare col vecchio. Viceversa no. Il vecchio è forse risentito, il vecchio non riesce a ricollocarsi da qualche parte. E allora si radica dov’è stato sin ora. E più il nuovo sforna proseliti, più il vecchio accusa l’imbarazzante status dell’accerchiamento. E risponde dalla roccaforte che ha eretto. Con smorfie e ragionamenti che sprofondano nella malcelata emotività. Perché alla fine, la diversità è il motore del mondo, la promiscuità è genuina, umana. La mescolanza non è barbarie. La purezza lo è, o rischia di risultare un concetto feticistico creato dagli uomini che a tal proposito hanno anche fornito la giusta immagine a cui attaccare l’etichetta 100% pure: Dio, Allah, Krishna. E chi li ha mai visti? Certo non un uomo: a lui non è permesso avvicinarsi alla purezza (se non attraverso le regole dei libri sacri). A lui non è neppure consentito imitarla, ripeterla. Sarebbe peccato gravissimo. E allora l’uomo ha aggiunto il concetto dell’uomo creato a immagine e somiglianza divina. Così è sicuro di aver un buon aspetto. E di poter uscire di casa. Eccola qua: è la diversità che li frega. Non l’orgoglio.
Diverso è anche un progetto sperimentale: il telefono doveva esserlo per chi era abituato al piccione viaggiatore o alla bottiglia col messaggio dentro. Il jeans era diverso dai pantaloni che s’indossavano poco dopo la guerra. Diverso è oggi il nostro linguaggio rispetto alla lingua dei poeti che studiamo a scuola. Diversa, addirittura opposta, è l’antitesi rispetto alla tesi, me le è necessaria per formulare la sintesi.
E allora sintetizzando, diverso è necessario.